Covid: Reni a rischio se si contrae il virus

L'infezione da Sars-CoV-2 può colpire anche i reni di persone sane e le conseguenze su questi organi, spesso sottovalutati e poco conosciuti, proseguono anche nella fase di convalescenza. Studi recenti sembrano confermare che chi soffre di Long Covid, infatti, ha un  alto rischio di sviluppare problemi ai reni. Il virus può infettare direttamente le cellule renali e causare danni cellulari ai soggetti con funzione renale normale prima della infezione.
All'emergere della pandemia di Covid-19 all'inizio del 2020, i medici di Wuhan in Cina avevano segnalato insufficienza renale acuta legata all'infezione da SARS-CoV-2 nei pazienti. Ma non era chiaro se e in che modo il virus influisse sulla salute dei reni. In questi due anni è stato possibile osservare sia effetti diretti che indiretti. I meccanismi indiretti che possono portare a malattia renale sono la sepsi (infezione generalizzata), uso di farmaci tossici per i reni, eccessiva coagulazione, tromboembolia e infiammazione sistemica. I potenziali effetti diretti sul rene comprendono, invece, il danno endoteliale (tessuto che riveste i vasi sanguigni), l'infiammazione locale e la glomerulopatia.
I dati sono evidenti anche dal report dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sulle caratteristiche dei deceduti Covid-19 in Italia: in un campione di circa 7.900 deceduti, il 2,3% era in dialisi, mentre il 24,9% riportava un danno renale acuto. La fascia d’età più soggetta al danno renale acuto è stata quella 60-69 anni; la stessa condizione medica si è verificata maggiormente tra i soggetti non vaccinati rispetto ai vaccinati con ciclo completo. Il coinvolgimento del rene è comune nei pazienti con infezione acuta da SARS-CoV-2. Già a inizio pandemia era stato dimostrato che quasi la metà delle persone ricoverate per Covid presentava proteine o sangue nelle urine, un segno evidente di danno renale confermato nei mesi a seguire da diversi studi su autorevoli riviste scientifiche – spiega Massimo Morosetti, direttore dell’UOC Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale G.B. Grassi di Roma - che hanno dimostrato il doppio danno che il Sars-Cov-2 è in grado di fare. Il virus infatti arriva direttamente in questi organi che abbondano di recettori ACE2, nota per essere la porta d’ingresso del virus nelle cellule. Quest’ultimo provoca, però, anche un effetto indiretto, determinato dalla risposta infiammatoria diffusa (tempesta citochinica), condizione che provoca la liberazione di mediatori dell’infiammazione nel sangue, il cui accumulo è tossico per reni.
Che il deficit di attività renale tra i pazienti COVD-19 sia più accentuato rispetto al resto della popolazione, lo conferma anche il maggior ricorso alla dialisi e il rischio più elevato di andare incontro a insufficienza renale cronica. Un aspetto che ha reso nevralgica anche la figura del nefrologo nell'assistenza a questi ammalati. L'infiammazione, inoltre, può persistere per mesi, determinando un progressivo declino della funzione renale, anche nei casi che non avevano comportato ricovero. Una ricerca condotta su 89.000 veterani statunitensi sopravvissuti al COVID mostra un calo del 50% delle funzioni renali, in molti casi fino a un anno dopo l’infezione. D’altro canto, chi soffre già di insufficienza renale è a sua volta più esposto al rischio di infettarsi di Covid e morirne, come dimostra una ricerca della Società Italiana di Nefrologia (SIN): un paziente su 4, soprattutto tra chi è dializzato o trapiantato, è deceduto a causa delle complicanze di Covid-19, un tasso di 8-10 volte superiore a quella della media della popolazione generale.
Il modo migliore per proteggere il rene nella situazione attuale è vaccinarsi, inoltre, tra gli esami di controllo nei pazienti che hanno avuto infezione da COVID-19 si dovrebbe includere lo screening per i segni di danno renale come un controllo della azotemia, della creatininemia ed esame delle urine-conclude il professor Morosetti.


Pubblicato in:     Medicina  
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